Antonino Infranca ETICA E POLITICA IN LUKÁCS Introduzione di Miquel Vedda
Il nucleo del pensiero di Lukács è incentrato su etica e politica. Infranca ricostruisce tutti i momenti dello sviluppo intellettuale di Lukács dalla gioventù fino alle opere della maturità, tenendo presente questa prospettiva, soprattutto nel periodo della militanza nel movimento comunista. Infatti per molti critici, con scarsa conoscenza di questo sviluppo intellettuale, hanno considerato Lukács il prototipo dello stalinista. In realtà, nel libro sono mostrati con rigore e dettagliatamente tutti i momenti della lotta di Lukács contro lo stalinismo, al fine di costruire un socialismo autentico e democratico.
Antonino Infranca, è nato a Trapani (Italia) nel 1957, si è laureato in Filosofia presso l’università di Palermo (1980), si è specializzato in Filosofia presso l’università di Pavia (1985), ha conseguito il Philosophical Doctor (Ph. D.) presso l’Accademia Ungherese delle Scienze (1989) e il dottorato in Filosofia presso l’Università di Buenos Aires (2017). Nel 1989 ha ricevuto la Medaglia Lukács per la Ricerca Filosofica. Ha insegnato a Buenos Aires e a Barcellona. È autore di Giovanni Gentile e la cultura siciliana (Roma, 1990), di Tecnecrate. Dialogo (in italiano Roma, 1998, II ed. 2005, III ed.: 2019); in portoghese San Paolo, 2003; in spagnolo Buenos Aires, 2004), L’Altro Occidente. Sette saggi sulla realtà della Filosofia della Liberazione (in spagnolo Buenos Aires, 2000; in francese Parigi, 2004; in italiano Roma, 2010; in portoghese San Paolo, 2014), Lavoro, Individuo, Storia. Il concetto di lavoro in Lukács (Buenos Aires, 2005, 2 edizioni; III ed., Caracas, 2006; in italiano Milano, 2011; in portoghese San Paolo, 2015); I filosofi e le donne(in spagnolo Buenos Aires, 2006; in italiano Roma, 2010; in portoghese, São Paulo, 2017); Apocalisse. Inizio e fine della modernità (Trieste, 2021); György Lukács (São Paulo, Praxis, 2021). Ha tradotto e curato l’edizione in italiano di opere di Ricardo Antunes e Enrique Dussel, ha curato l’edizione in spagnolo e in italiano di opere di Lukács. ISBN 9788883512940, Pagg. 518, 28 euro.
György Lukács CRITICA DELLA IDEOLOGIA FASCISTA A cura di Antonino Infranca Il volume è composto da due saggi, Come la filosofia fascista si è sviluppata in Germania? (1934) e Come la Germania è diventata il centro della filosofia reazionaria? (1942) che sono un’anticipazione de La distruzione della ragione (1954). In questi due saggi Lukács descrive il processo di formazione dell’ideologia del nazismo a partire dalla filosofia di Schopenhauer e Nietzsche. Il nazismo usa l’irrazionalismo per coinvolgere la cultura tedesca e per sottomettere le masse dei lavoratori tedeschi al suo progetto imperialistico. Lukács ricostruisce dettagliatamente questo processo di decadenza nell’irrazionalismo dell’umanesimo classico tedesco, che ha dato alla cultura europea importanti pensatori quali Goethe ed Hegel, e pone pure il problema di quale Germania, dopo la guerra, potrà essere ricostruita e con quale tipo di cultura. Impressionanti sono le analogie con la situazione attuale di un’Europa che è sempre più assaltata dalle destre. ISBN 9788883512995, Pagg. 360, 24 euro.
György Lukács LETTERE AGLI ITALIANI Lettere a Cesare Cases, Alberto Carocci, Giudo Aristarco, Aldo Zanardo, Elsa Morante
A cura di Antonino Infranca
L’Italia è sempre stata al centro dell’interesse personale di Lukács, fino al punto che poco prima di morire ebbe a scrivere: «Ho sempre preferito l’Italia alla Germania per la vita quotidiana». Si possono comprendere facilmente le ragioni di tale preferenza (clima, cibo, bellezze artistiche e naturali). Rimase, però, per tutta la vita l’ostacolo della comprensione della lingua: nonostante Lukács abbia vissuto un anno a Firenze tra il 1911 e il 1912 non imparò mai l’italiano. La conoscenza della nostra cultura e dei suoi intellettuali avvenne, quindi, sempre attraverso il filtro del tedesco, la lingua che usava per la sua produzione culturale. Non si può, quindi, affermare che conoscesse molto profondamente la cultura italiana. Eppure, come scritto sopra, l’interesse verso l’Italia è sempre stato vivace e vissuto. In pratica, al di fuori del mondo mitteleuropeo e della Russia, Lukács viaggiò soltanto una volta in Francia, Svizzera e Scandinavia e molte più volte in Italia. La vivacità dell’interesse di Lukács verso l’Italia si può notare proprio nel carteggio con gli italiani. Ci sono continue richieste di informazioni sulla cultura italiana del passato e del presente o progetti di viaggi che si sono realizzati o sono rimasti solo intenzioni desiderate. A testimoniare questo interesse ci sono anche i saggi dedicati ad autori italiani - da Dante a Manzoni, da Croce a D’Annunzio - e la considerazione in cui teneva Gramsci, che purtroppo non conobbe personalmente, né mai lesse a causa del suddetto ostacolo della lingua e della scarsezza di traduzioni, al tempo della vita di Lukács, nelle lingueda lui conosciute: tedesco, ungherese, inglese e francese. Conobbe molto probabilmente Togliatti a Mosca e ne ebbe sempre un giudizio positivo. Considerò sempre con stima gli scrittori italiani a lui contemporanei, Calvino, Moravia e specialmente la Morante, di cui qui le lettere che le indirizzò. Incontrò Pasolini e insieme assistettero a “Il Vangelo secondo Matteo”. Insomma sfruttò tutte le occasioni che gli presentarono nel corso della vita per approfondire il suo interesse verso l’Italia, ma si tenga conto che dal 1914 al 1945 i rapporti con l’Italia erano praticamente impossibili. Dopo la guerra, i rapporti tra Italia e Ungheria non erano stretti, ma ciò nonostante Lukács mantenne un suo personale rapporto con l’Italia e, in particolare, con il Partito Comunista Italiano, che considerò come una sorta di partner privile-giato nella sua produzione intellettuale. Il referente italiano di questo rapporto fu soprattutto Cesare Cases, la corrispondenza con il quale rappresenta la parte maggiore di questo libro.
Collana lucacciana, ISBN 9788883512827, pagg. 136, 17 euro.
ISTVÁN MÉSZÁROS LUKÁCS Maestro di pensiero critico A cura di Antonino Infranca e Roberto Mapelli
“Per quanto lo stesso Lukács non sia riuscito a svolgere la critica radicale necessaria nei confronti dell’ordine sociale post-rivoluzionario, il rifiuto appassionato e intellettualmente coerente della prospettiva di un disarmante pessimismo è rimasto parte legittima e valida del suo discorso. Nel momento in cui il collasso definitivo dello Stato sovietico avrebbe minacciato anche il suo ultimo Prinzip Hoffnung, egli non era più in vita. L’implosione del sistema capitalistico di tipo sovietico ha concluso un’esperienza storica durata sette decenni, rendendo storicamente superate tutte le teorizzazioni e le strategie politiche concepite nell’orbita della rivoluzione russa - sia in senso positivo che come varie forme di negazione. Il collasso del sistema non è separabile dalla crisi strutturale del capitale iniziata negli anni settanta. Quella crisi dimostrò chiaramente la vacuità delle strategie precedenti, fosse il progetto di Stalin di costruire il socialismo superando gli Stati Uniti nella produzione pro-capite di ghisa, o quello altrettanto assurdo del post-stalinismo di costruire una società comunista pienamente emancipata sconfiggendo il capitalismo con una competizione pacifica. Nel sistema capitalistico di fatto non ci può essere alcuna “competizione pacifica”; neppure quando una delle parti in competizione continua a illudersi di essere libera dalle deformanti costrizioni strutturali del capitale nella sua forma storicamente specifica”.
István Mészáros, filosofo ungherese (1930-2017). Allievo e poi assistente di Lukács. Partecipò attivamente alla rivoluzione del 1956. Con la repressione, ha dovuto lasciare l’Ungheria, rifugiandosi all’estero, dapprima in Italia e in seguito in Inghilterra. Ha insegnato all’Università St. Andrews in Scozia, all’Università di York/Toronto in Canada e all’Università del Sussex, dove è diventato professore emerito. Ha collaborato con numerose riviste, in primo luogo con la “Monthly Review”. Le edizioni Punto Rosso hanno pubblicato in italiano la sua opera principale, “Oltre il Capitale. Verso una teoria della transizione” (Milano, 2016).
pagg 380, 25 euro. ISBN 978883512773
György Lukács LETTERATURA E DEMOCRAZIA Il “dibattito Lukács” (1946-1949) e altri saggi A cura di Antonino Infranca Il lettore italiano ha finalmente a disposizione gran parte del materiale del famoso “Dibattito Lukács” che, nel 1949, causò l’abbandono, da parte di Lukács, della vita politica ungherese. Il filosofo ungherese si dedicherà ai suoi studi di estetica e di filosofia, ritornando in politica per pochi giorni, nel 1956. La presente raccolta di saggi ricostruisce quegli anni cruciali dal 1946 al 1948 in cui la speranza di costruire una vera democrazia socialista spinse Lukács a partecipare attivamente alla vita politica del suo paese. Una parte del suo autentico pensiero politico è contenuta proprio nei saggi di quel periodo. L’attacco feroce dei leader del regime stalinista ungherese fu scatenato dall’intervento di Fadeev, uno degli ideologi del dogmatismo staliniano, nel dibattito letterario ungherese. I temi usati dagli stalinisti riecheggiano le direttive letterarie ed estetiche dettate dai nazisti e che Lukács aveva già denunciato nel suo saggio “La poesia bandita” del 1942. Lukács dovette difendersi, per il resto della sua vita, dalle accuse di privilegiare il realismo borghese da parte degli stalinisti e di considerare soltanto il realismo socialista da parte degli intellettuali occidentali. Quel dibattito, iniziato nel 1949, continua tuttora, a 50 anni dalla sua morte, a caratterizzare uno dei filosofi più importanti e controversi del ventesimo secolo.
Collana lucacciana, pagg 220, 18 euro. ISBN 978883512636
György Lukács DIALETTICA EIRRAZIONALISMO Saggi 1932-1970 A cura di Antonino Infranca
I nove saggi che compongono questo volume coprono un arco temporale di quasi quaranta anni, ma presentano una costante stabilità di temi che è data dalla contrapposizione tra dialettica e irrazionalismo. Si tratta di due tematiche ampiamente affrontate da Lukács nell’intero corso del suo sviluppo intellettuale, ma che a partire dagli anni Trenta fino alla sua morte - che è l’arco temporale di questa raccolta di saggi - assume sempre più una determinazione politica ed etica. Non si tratta più di una contrapposizione tra dialettica e irrazionalismo che riguarda un’estraneità al proprio mondo, come fu per il periodo giovanile di Lukács, oppure una contrapposizione in cui la dialettica superava imperiosamente l’irrazionalismo, come nei primi tempi della sua adesione al movimento comunista. Adesso con il comparire del fenomeno inquietante del fascismo, Lukács si rende conto che la contrapposizione teorica ha assunto l’aspetto di una battaglia politica ed etica. Sono in gioco i destini dell’umanità e non più una scelta personale e individuale, oppure un momento di ripensamento di un’esperienza rivoluzionaria sconfitta dalla reazione. Adesso la lotta ideologica e politica è ricominciata e il valore di tale lotta è molto più alto, perché non si tratta di ripensare una rivoluzione, ma di salvare l’umanità.
pagg 200, 18 euro. ISBN 978883512537
György Lukács TESTAMENTO POLITICO e altri scritti contro lo stalinismo a cura di Antonino Infranca e Miguel Vedda
Il filo rosso che indica la continuità e l’omogeneità dei saggi qui raccolti (che vanno dal 1946 al 1970) è rappresentato da un tema fondamentale del pensiero politico e filosofico di Lukács, quello della democrazia marxista e, in tal senso, della costante polemica del filosofo ungherese contro lo stalinismo.
INDICE Introduzione di A. Infranca e M. Vedda - Le visioni del mondo aristocratica e democratica - I compiti della filosofia marxista nella nuova democrazia - Libertà e prospettiva: una lettera a Cesare Cases - Oltre Stalin - Epistolario con János Kádár sul caso Dalos-Haraszti - Testamento politico - Appendice: Interrogatorio della polizia sovietica nel 1941
Collana lucacciana, pagg. 176, 15 euro
Recensione a G. Lukács, Testamento politico e altri scritti contro lo stalinismo, a cura di Antonino Infranca e Miguel Vedda, Milano, Il Punto Rosso, 2015. di Marco Vanzulli (per la rivista “Filosofia politica”, aprile 2017)
Il tema centrale di questa antologia è senza dubbio quello della democrazia. Nel primo scritto, Le visioni del mondo aristocratica e democratica, del 1946, è dominante il rapporto tra crisi della democrazia e sviluppo del fascismo, nel secondo, I compiti della filosofia marxista nella nuova democrazia, testo di una relazione presentata nel dicembre 1947 alla Casa della Cultura di Milano, quello tra marxismo ed edificazione di una nuova democrazia europea. La democrazia nel partito e la democrazia operaia sono invece gli argomenti del Testamento politico, del 1971, testo precedente di qualche mese la morte di Lukács. Colpisce nell’argomentazione lukacsiana la capacità filosofica di legare una questione apparentemente minore, come per esempio quella dell’impegno del lavoratore di fabbrica, a una concezione generale dell’uomo e della storia. L’analisi del «buon lavoro» nel Testamento politico è un esempio notevole di ciò. Un documento di grande interesse storico-politico sono poi i verbali, tradotti dall’ungherese da Antonino Infranca, degli interrogatori cui Lukács fu sottoposto da parte della polizia sovietica, che, quando lo arrestò nel 1941, cercò di fargli confessare di essere un provocatore e una spia di servizi stranieri. Il lettore si trova posto tra le domande secche e talora ottuse del «Sergente del Commissariato Statale» interrogante, volte unicamente ad avere una prova facile per condannare Lukács, e le risposte argomentate di quest’ultimo, che riescono perfino a fornire elementi analitici del proprio percorso teorico-politico. Lukács passò da una giovanile avversione decadente per il mondo contemporaneo e per la democrazia parlamentare alla scelta comunista con la rivoluzione del 1917. Aderì quindi al partito comunista ungherese l’anno successivo, dopo una breve indecisione, a 32 anni, senza avere avuto esperienze politiche precedenti, né con partiti radicali borghesi né col partito socialdemocratico. Partecipò alla Repubblica dei consigli con vari incarichi. Da allora Lukács non abbandonò più il partito. Magari sarà abbandonato dal partito in certi momenti, ma terrà sempre distinta l’idealità del partito dalla cattiva dirigenza che lo guida. Durante la guerra Lukács difenderà il comunismo stalinista come baluardo contro il nazismo. Ma c’era molto di più in questa sua difesa del comunismo sovietico. Gli fu rimproverato di non aver accusato lo stalinismo neanche dopo il suo ritorno in Ungheria. Lukács affermò più volte: «Sono sempre stato dell’opinione che è meglio vivere nella peggior forma di socialismo che nella migliore forma di capitalismo». Un’affermazione evidentemente assai problematica. E che però per Lukács, pensatore eterodosso quanto altri marxisti che, diversamente da lui, vissero in Occidente, costituì una scelta di vita coerente e difficile, che lo costrinse a continui ripensamenti dell’esperienza sovietica. Se infatti, da una parte, è vero che il partito rappresenta la «genericità in sé», d’altra parte Lukács stigmatizza quello bolscevico per aver lasciato esistere solo formalmente la democrazia dei consigli svuotandola di ogni contenuto, e biasima il partito comunista ungherese di Rákosi al punto da affermare che, a causa della sua mancanza di democrazia interna, «partecipai a tutte le votazioni, consegnando la mia scheda; ma devo ammettere che, in 25 anni, neanche una volta ho prestato attenzione al nome che compariva nella scheda» (Testamento politico¸ p. 101). Un’antologia, questa curata da Infranca e Vedda, che va letta insieme a Pensiero vissuto (ripubblicato recentemente da Punto Rosso) e allo scritto del 1968 sulla Demokratisierung. Da questi testi si comprende come per Lukács la democrazia si leghi essenzialmente al tema della vita quotidiana. Nel primo testo di questa raccolta, Le visioni del mondo aristocratica e democratica, Lukács dà un quadro della formazione ideologica del nazismo sulla linea che poi si concretizzerà nelle analisi de La distruzione della ragione, e scrive che gli «umanisti» borghesi, che sono autenticamente democratici, a un certo punto, a cavallo tra ’800 e ’900, «hanno cominciato ad accorgersi che la violenza dell’anti-umanesimo, la potenza della follia razziale scatenata può essere vinta soltanto con un’altra forza: col potere del popolo risvegliato ad una vita democratica». Ciò vuol dire democrazia socialista. Lukács sta dicendo insomma che l’unica maniera di vincere il fascismo – che, se è stato annientato militarmente durante la guerra, è assai più difficile da annientare ideologicamente, tanto che «come concezione generale, il fascismo mostra assai più resistenza di quanto molti non abbiano immaginato dopo la rovina di Hitler» (p. 21) – è attraverso una vera auto-organizzazione democratica della vita popolare, non nel senso formalistico della partecipazione alle elezioni dei parlamenti borghesi, ma nel senso di una partecipazione comune, diffusa e costante nel fare della vita quotidiana. Tenendo presente che «ciò che abbiamo abitudine di chiamare educazione in senso stretto non costituisce che una parte molto piccola dell’educazione effettiva di tutto l’uomo […] le forme e i contenuti della vita quotidiana agiscono potentemente e anche in modo determinante sulla formazione interiore» (I compiti della filosofia marxista nella nuova democrazia, p. 56). La democrazia parlamentare o formale corrisponde pienamente al tipo individualistico della società capitalistica, che non riesce ad essere davvero cittadino, e però «senza una partecipazione attiva alla vita pubblica l’uomo non è un essere completo». A tal fine occorre «la vera democrazia» (p. 68). È un ideale che si trova già nella Critica della filosofia del diritto del giovane Marx. È notevole che nell’immediato dopoguerra, a fascismo annientato, Lukács esprima esplicitamente insoddisfazione per i metodi fino a quel momento seguiti in Europa per debellare il fascismo: «La nuova Europa potrà sorgere ed affermarsi soltanto se riuscirà ad estirpare anche sul piano ideologico le radici del fascismo e a renderne impossibile il ritorno». Un giudizio che si rivela più che mai attuale e lungimirante. Il fascismo ha potuto trionfare grazie a una crisi della democrazia. E l’opposizione contro il fascismo – nota Lukács riferendosi ai diversi movimenti della Resistenza – è stata più forte «laddove era più vivo nel popolo uno spirito della democrazia reale e non diluito in senso liberale e formalistico (Unione Sovietica, Jugoslavia, Francia)» (pp. 44-45). Ora però Lukács vede che gli elementi di democrazia diretta presenti nella Resistenza vengono aboliti, e con ciò viene revocato sia lo slancio costruttivo per una nuova democrazia, sia la forza di resistenza contro il fascismo, che non è affatto sconfitto. Infatti, «un’Europa nuova e reale potrà essere ricostruita soltanto da uomini per cui il senso della cittadinanza sarà ridiventato forma di vita quotidiana. Ma nessuno diventa cittadino per mera decisione. Se nell’Europa occidentale il cittadino è scomparso o diventato un’astratta caricatura, la colpa ne va ad una vita pubblica in cui le masse non avevano nessuna possibilità di agire in continuità e in cui gli essenziali problemi personali potevano essere uniti ai problemi della vita pubblica soltanto sulla scala di servizio della corruzione» (pp. 47-48). Come non sentire il valore immutato di queste parole sul nesso ineludibile tra democrazia e cittadinanza reale? Democrazia reale e non formale significa dunque democratizzazione della vita quotidiana, cioè auto-attività delle masse. Lukács, peraltro, non era un ingenuo, sapeva bene che talvolta certe decisioni vanno prese rinunciando alla loro condivisione e approvazione. E aveva fatto propria la lezione di concretezza di Lenin, di non agire in base a principi astratti. La concretezza di Lenin è però la concretezza di un teorico, una visione d’insieme di cui Lukács sente la mancanza nella successiva dirigenza sovietica, che vede impigliata nella mera tattica, inclusi Trockj e Stalin, che per Lukács era il più grande tattico e il peggior teorico. Ciò non vuol dire che la questione della democratizzazione socialista vada rinviata a un futuro lontano, quando si saranno costruite le basi economiche, o anche le sole basi organizzative, cioè che solo quando si sarà forti si potrà essere democratici. Su questo sbaglio si è sostenuto lo stalinismo. La democrazia esiste già nella lotta per farla (nel testo del 1968 Lukács sostituirà ad uno ad uno i molti “democrazia” che aveva usato nella prima stesura con “democratizzazione”). Infatti, «a grado a grado che gli uomini lottano per la democrazia e la stanno costruendo, si risveglia in loro lo spirito di “cittadinanza”» (Le visioni del mondo aristocratica e democratica, p. 47). E tuttavia Lukács riconoscerà a Stalin, ancora nel ’68, il merito di aver fatto diventare la Russia la seconda economia del mondo, grazie ad immani sforzi negli anni ’30 e nel secondo dopoguerra, e senza cedere al capitalismo, senza concessioni a un’economia di mercato. Nel suo testo del 1968 Lukács parla in più di un’occasione semplicemente della «sovvertitrice trasformazione della socializzazione dei mezzi di produzione» avutasi in URSS, ritenendo insomma che, pur con tutti gli errori dello stalinismo, con l’economia pianificata socialista si sia prodotta comunque la svolta fondamentale della storia umana. Una strada per lui non da rinnegare, ma da correggere. Un giudizio però, questo, che evidentemente non è così pacifico. Neanche per lo stesso Lukács, che ritiene economicistica la concezione per cui l’economia pianificata socialista di per sé basterebbe a produrre l’uomo nuovo auspicato dal comunismo. E qui emerge ancora, e drammaticamente, il problema della democratizzazione socialista. Un problema inedito perché le esperienze che Lukács ricorda, la Comune e i soviet del 1905, non si realizzarono, mentre i soviet del 1917 non resistettero molto ed erano al tramonto negli ultimi anni di Lenin, che giustamente se ne preoccupava mentre assisteva alla potenza che veniva assumendo la burocrazia. Un problema sempre nuovo, da comprendere attraverso le possibilità e i movimenti del nostro tempo, che queste pagine di Lukács aiutano a formulare e a ripensare secondo il principio della «vera democrazia».
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György Lukács PENSIERO VISSUTO Autobiografia in forma di dialogo Intervista di István Eörsi
Quando György Lukács venne informato della gravità della sua malattia, si dette a lavorare intensamente per portare a termine, a ritmo accelerato, la revisione dell’Ontologia dell’essere sociale. Il rapido peggioramento dello stato di salute, tuttavia, gli impediva di compiere quel lavoro, per lui così importante, ad un livello che fosse all’altezza dei propri criteri di qualità. Decise quindi di buttar giù un abbozzo di autobiografia, in parte per il minore impegno teorico che tale attività comportava, in parte per rispondere a un desiderio della moglie defunta. Ma, una volta pronto l’abbozzo, fu evidente che egli non aveva più l’energia per elaborarlo in uno scritto esauriente. Perfino il puro atto manuale di scrivere era diventato qualcosa che sempre più andava oltre le sue forze. Poiché, però, non avrebbe tollerato di rimanere inattivo, seguì il consiglio degli allievi a lui vicini di parlare della sua vita in presenza di un registratore. Cosa che fece, pur con uno sforzo sempre più pesante, rispondendo alle domande di Erzsébet Vezér e mie sulla traccia del suo abbozzo autobiografico (Pensiero vissuto). Analoghe interviste erano già state registrate da noi anche in passato (anzitutto nel 1969). Nel lavoro di sistemazione e di redazione del materiale, io mi sono proposto due obiettivi. In primo luogo, riprodurre senza tagli il contenuto delle interviste, cioè tutto quello che Lukács riteneva importante dire su se stesso e il proprio tempo. In secondo luogo, offrire un testo leggibile e coerente. Per questo ho introdotto nelle interviste, oltre alle consuete correzioni stilistiche, anche cambiamenti strutturali. (István Eörsi)
Collana Il presente come storia, pagg. 206, 13 euro
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György Lukács L’UOMO E LA RIVOLUZIONE Le basi ontologiche del pensiero e dell’attività dell’uomo (1968) Su Lenin e il contenuto attuale del concetto di rivoluzione (Intervista del 1969) Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero (1924)
I primi due testi di György Lukàcs qui pubblicati appartengono all’ultimo periodo di attività del filosofo ungherese. La conferenza sulle Basi ontologiche del pensiero e dell’attività dell’uomo fu redatta nei primi mesi del 1968 e doveva essere letta al congresso mondiale di filosofia che si sarebbe tenuto a Vienna nel settembre di quell’anno. Tuttavia, non avendo poi Lukàcs partecipato a quel congresso, il testo della conferenza fu reso pubblico nel 1969 sia in traduzione ungherese, sia nella stesura originale tedesca. Quanto al contenuto, la conferenza si fonda sulla cosiddetta «grande» Ontologia, il cui manoscritto era allora praticamente già terminato. L’intervista televisiva su Lenin fu concessa al regista Andràs Kovàcs nell’ottobre 1969. Nata da una precedente idea di «girare» un reportage sulla vita di Lukàcs, a cui quest’ultimo si era rifiutato per non dover apparire sugli schermi televisivi «come una star», l’intervista venne accettata da Lukàcs quando assunse la forma di un intervento sulla figura di Lenin e sul contenuto attuale del concetto di rivoluzione. La registrazione venne eseguita il 2 ottobre 1969 nella casa di riposo di Jàvorkurt e durò due ore e mezzo. Il terzo testo (Lenin. Unità e coerenza nel suo pensiero) è stato scritto da Lukàcs nel 1924, poco dopo la morte di Lenin, e fu pubblicato in italiano più di mezzo secolo dopo, con una importante postilla dello stesso autore, ed è ancor oggi molto utile ad interpretare problematicamente tanto il rivoluzionario russo, quanto il filosofo ungherese.
“Il mio interesse è sempre andato solamente a ciò che mi stava davanti in quanto problema da risolvere. Devo anzi rivelare un sentimento personale: oggi mi rattrista terribilmente il fatto che non mi abbia dato eccessivo fastidio trovare una verità al prezzo di dover smentire la mia opera precedente. Vede, per me - a volersi esprimere in maniera estremamente semplicistica - nella vita dell’individuo singolo la virtù massima è la curiosità. Quando si è curiosi di conoscere quello che accadrà, si è aperti all’avvenire, e questa è una cosa sana. Ma per converso esiste anche un grave pericolo, di cui sono caduti vittime uomini dotati di grande ingegno. La colpa massima, su questo piano, è a mio parere la vanità. Guardiamo la cosa prendendo ad esempio una conversazione, una semplice conversazione: una conversazione significa che due persone s’incontrano per ricercare la verità. Ma esistono due possibili strade: l’una è appunto la ricerca della verità, cioè la conversazione può dirsi riuscita quando si è giunti a rintracciare qualche aspetto della verità; la seconda strada, che purtroppo è quella scelta dalla maggioranza delle persone, è il desiderio di farsi valere nella conversazione. E non appena si vuole questo, tutto va a catafascio”.
Collana Il presente come storia, pagg. 148, 13 euro
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Wolfgang Abendroth, Hans Heinz Holz,Leo Kofler CONVERSAZIONI CON LUKACS In appendice Su György Lukács Intervista di Giorgio Riolo a István Mészáros
Riproponiamo questo libro, apparso in Italia nel lontano 1968, per varie ragioni. In primo luogo, perché rimettere in circolazione saggi e libri di Lukács, ormai introvabili, è sempre opera meritoria. In secondo luogo, questo agile libretto ha il pregio, nella forma di lunghe conversazioni e non di semplici interviste, di offrirci una sintesi delle posizioni filosofiche, politiche, culturali del pensatore ungherese nella fase finale della sua lunga e intensa vita. Le conversazioni si sono svolte nel 1966, vale a dire nel pieno della elaborazione e della preparazione dell’ultima sua opera sistematica, l’Ontologia dell’essere sociale. Dopo l’Estetica, apparsa nel 1963, l’impegno del filosofo marxista era teso a realizzare il progetto giovanile di una grande Etica. Ma in un contesto affatto diverso, nella sua persona, nell’evoluzione del suo pensiero e nel mondo circostante. L’Ontologia doveva costituire il passaggio, la premessa necessaria per un’etica senza fondamenti ultimi, facendo tesoro degli sviluppi filosofici dall’antichità al tempo di Lukács, soprattutto attraverso i decisivi apporti di Hegel e di Marx. Le acquisizioni dell’Estetica, nella quale l’arte era trattata, conformemente alla visione complessiva di Lukács, come parte di una totalità dell’interazione soggetto-oggetto, vengono richiamate spesso nelle conversazioni. L’opera sistematica conteneva già robuste anticipazioni a proposito delle basi ontologiche dell’attività umana. Questo retroterra acquisito permette a Lukács di spaziare, nella interlocuzione con studiosi del calibro di Abendroth, Holz e Kofler, dalla filosofia, alla politica, alla storia del capitalismo, del marxismo, del movimento operaio, del movimento socialista e comunista, alla cultura e alla vita quotidiana contemporanee. Questa sintesi ha il pregio della freschezza e della forza espressiva tipica di una conversazione. La trascrizione è stata naturalmente rivista dagli autori. Tuttavia rimane la vivacità del dialogo, del movimento del pensiero, delle improvvise illuminazioni che nel trattato o nello scritto, concepito come tale, necessariamente si perdono. In appendice, pubblichiamo un’intervista su Lukács con Istvan Meszaros, l’allievo più coerente e fedele del grande filosofo. È stata realizzata nel 1997, durante un convegno svoltosi a Milano e al quale avevamo invitato il filosofo ungherese, trasferitosi in Occidente, dopo la rivoluzione ungherese dell’ottobre 1956, prima in Italia e poi in Inghilterra, dove attualmente vive.
Collana Il presente come storia, pagg. 184, 13 euro